09-01-2013, 12:15
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 09-01-2013, 12:40 {2} da Mariano.)
Tendenzialmente non sono proclive a discutere di casi come quello della bimba suicidatasi a Novara, accadimenti come questo lacerano l’anima ed impongono deferente raccoglimento. Parrebbe, condizionale d’obbligo, Dio ci salvi, che la causa di questa tragedia tragga origine dal bullismo virtuale che si annida nei social network.
Questo è il motivo che mi ha spinto a scribacchiare queste poche righe. Personalmente mi interesso di informatica dal 1985 e non sono iscritto in nessun social network. Frequento esclusivamente dei forum, molto pochi in vero, dedicati al software freeware ed all’interno dei quali ho sempre declinato le mie generalità così come in calce apposte nel registro delle nascite al paese che per primo udì i miei vagiti.
Non ho mai avvertito l’esigenza di scompormi dicotomicamente in parti tra esse complementari od ancor peggio totalmente disgiunte: non è questo un atto d’accusa nei confronti di chi ricorre ai cosiddetti nickname. Si può essere galantuomini e persone a modo anche se celati da uno pseudonimo.
Il nickname è molto utilizzato in questi Social Network, pertanto i simposi virtuali possono essere paragonati a dei raduni in maschera, come le feste da ballo che hanno ispirato il Don Giovanni di Mozart, ove le dame d’alto rango rivolgono i loro apprezzamenti alla Zerlina, definita contadinotta e plebea. Generalmente il poter contare su un’altra entità infonde vigoria psicologica e conforta gli intenti con un’impronta di baldanza che talvolta risulta essere esiziale. I social network riverberano in strascichi virtuali gli umori della vita reale, con la differenza che il tutto si svolge in un contesto alquanto nebuloso ed a una velocità molto differente.
Attenzione allora a cosa si dice, a chi lo si dice, perché lo si dice. Nella quotidianità della vita reale maldicenza e calunnia vengono trasportate in approcci saltuari scanditi da intervalli temporali che rispecchiano il ciondolare esistenziale dell’uomo: ciò implica che il destinatario dell’umana nequizia, seppur carente dal punto di vista interiore, ha comunque il tempo di metabolizzare le percosse psicologiche ricevute. Se non altro agisce in un contesto ove si ha tempo per chiedere supporto e quant’altro è necessario per affrontare queste deprecabili vicende.
Nella dimensione virtuale la medesima situazione si svolge all’interno di un cortometraggio i cui fotogrammi scorrono alla velocità della luce: non si ha tempo di riflettere, metabolizzare, chiedere sostegno. La gravità del deprecato agire incrementa esponenzialmente con la velocità alla quale viene trasmesso, pertanto lo stratificarsi di queste informazioni, per talune persone, diviene un peso insostenibile.
Il successo di questi social network è dovuto alla continua ricerca di quel calore umano talvolta assente nei contatti reali, al fascino dell’agire in simulata sembianza, l’inebriante libare al calice di una libertà apparentemente acquisita e tutta una serie di percezioni che convincono i frequentatori di queste magioni virtuali di aver raggiunto la quintessenza.
Non è così, talvolta il risveglio è duro, molto. Quanto è accaduto dovrebbe indurre più di una generazione a riflettere su cosa è stato offerto ai propri figli e, soprattutto, cosa spinge i giovani virgulti a ricercare l’equilibrio interiore in una dimora virtuale che si dipana in estensioni ignote e talvolta estremamente pericolose.
Forse è giunto il tempo di rivedere le proprie convinzioni, chi ha creato i social network ha rimpolpato il proprio conto in banca, i frequentatori sovente sono protagonisti di vicende tristissime. Non si può vivere in un perenne carnevale!
Questo è il motivo che mi ha spinto a scribacchiare queste poche righe. Personalmente mi interesso di informatica dal 1985 e non sono iscritto in nessun social network. Frequento esclusivamente dei forum, molto pochi in vero, dedicati al software freeware ed all’interno dei quali ho sempre declinato le mie generalità così come in calce apposte nel registro delle nascite al paese che per primo udì i miei vagiti.
Non ho mai avvertito l’esigenza di scompormi dicotomicamente in parti tra esse complementari od ancor peggio totalmente disgiunte: non è questo un atto d’accusa nei confronti di chi ricorre ai cosiddetti nickname. Si può essere galantuomini e persone a modo anche se celati da uno pseudonimo.
Il nickname è molto utilizzato in questi Social Network, pertanto i simposi virtuali possono essere paragonati a dei raduni in maschera, come le feste da ballo che hanno ispirato il Don Giovanni di Mozart, ove le dame d’alto rango rivolgono i loro apprezzamenti alla Zerlina, definita contadinotta e plebea. Generalmente il poter contare su un’altra entità infonde vigoria psicologica e conforta gli intenti con un’impronta di baldanza che talvolta risulta essere esiziale. I social network riverberano in strascichi virtuali gli umori della vita reale, con la differenza che il tutto si svolge in un contesto alquanto nebuloso ed a una velocità molto differente.
Attenzione allora a cosa si dice, a chi lo si dice, perché lo si dice. Nella quotidianità della vita reale maldicenza e calunnia vengono trasportate in approcci saltuari scanditi da intervalli temporali che rispecchiano il ciondolare esistenziale dell’uomo: ciò implica che il destinatario dell’umana nequizia, seppur carente dal punto di vista interiore, ha comunque il tempo di metabolizzare le percosse psicologiche ricevute. Se non altro agisce in un contesto ove si ha tempo per chiedere supporto e quant’altro è necessario per affrontare queste deprecabili vicende.
Nella dimensione virtuale la medesima situazione si svolge all’interno di un cortometraggio i cui fotogrammi scorrono alla velocità della luce: non si ha tempo di riflettere, metabolizzare, chiedere sostegno. La gravità del deprecato agire incrementa esponenzialmente con la velocità alla quale viene trasmesso, pertanto lo stratificarsi di queste informazioni, per talune persone, diviene un peso insostenibile.
Il successo di questi social network è dovuto alla continua ricerca di quel calore umano talvolta assente nei contatti reali, al fascino dell’agire in simulata sembianza, l’inebriante libare al calice di una libertà apparentemente acquisita e tutta una serie di percezioni che convincono i frequentatori di queste magioni virtuali di aver raggiunto la quintessenza.
Non è così, talvolta il risveglio è duro, molto. Quanto è accaduto dovrebbe indurre più di una generazione a riflettere su cosa è stato offerto ai propri figli e, soprattutto, cosa spinge i giovani virgulti a ricercare l’equilibrio interiore in una dimora virtuale che si dipana in estensioni ignote e talvolta estremamente pericolose.
Forse è giunto il tempo di rivedere le proprie convinzioni, chi ha creato i social network ha rimpolpato il proprio conto in banca, i frequentatori sovente sono protagonisti di vicende tristissime. Non si può vivere in un perenne carnevale!
Mi garba pensare che nel cielo dimora un angelo in più!
Un caro saluto dalla terra dei nuraghi.