13-06-2015, 12:22
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 06-05-2017, 11:07 {2} da Mariano.)
I piccoli centri come quello ove lo scrivente dimora, sono culla di un provincialismo intensamente radicato che sfocia talvolta in pulsioni eccentriche ed incontrollate. Tendenzialmente la vita di uomini e donne comporta due distinte fasi: la prima prevede la ricerca frenetica di un sempliciotto da impalmare e viceversa, la seconda il biasimarsi per tale contegno, assistendo, in quest’ultima, al disfacimento fisico e spirituale del proprio involucro. Desco e conformismo passivo scandiscono gli accenti di un’esistenza uggiosa assistita da un codice che si referenzia a delle regole anacronistiche incrostate di muffa!
Si attende il sabato e saturnali calendarizzati, per rivivere acuti leopardiani in chiave moderna ad attenuare parzialmente, ubbie, noia e frustrazione, in una cornice antropologica che consta della presenza discreta, ma non troppo, di cattolici praticanti che sogliono concentrare in chiesa il religioso fervore.
Comunità a sé stante (“noi cristiani” amano definirsi, gli altri non sappiamo cosa siano), che annovera invasati taluni, galantuomini altri, ed anche meno. Così le donne, che spendono l’ardore ecclesiale tra serio e faceto, nella convinzione di aver acquisito l’accesso alla Gerusalemme Celeste. Alcune, sfarzosamente, serbansi al Santo Ufficio in virtù del nobile casato, pertanto, in riproposti e furtivi approcci, conversano autorevolmente col vicino di panca: troppo appetibile è l’altrui vissuto nell’agognato simposio che di gente proba la conta tiene.
Tra i citati e talora pittoreschi frequentatori della sacra navata, vi è chi si lascia travolgere da un insano costume: redigere, in celata sembianza, missive dirette al vescovo della locale diocesi. La sostanza del papiro, spalmata a disdoro del buon pastore che pasce le irrequiete pecorelle del tumultuante gregge, sfocia nella perentoria richiesta di un robusto somarello sul cui dorso posare dello sventurato parroco l’erudito tergo. Cultori veraci del Vangelo, governati da istinti primordiali che ribollono in un catino di perfidia ed ignoranza, perennemente pronti a questuar ragione!
Se il tediato monsignore dovesse rinfrancare tali, bislacche istanze, servirebbe altro reverendo ogni piè sospinto, tenendo conto che ormai, sulla via di Damasco, le saette cadono di rado e sono di ben altro tenore rispetto a quella che si abbatté sul capo di Saulo.
Azione miserrima, tra le tante in repertorio a questi farisei, convinti di non dover sesterzi a Caronte quando giungerà il momento. Orientano disinvoltamente l’indice sui chi è reo di non adattarsi alla misura che abbozza il buon cristiano, e così i curati che non ristorano appieno la di loro fervida e bizzarra religiosità. Eppur si sussurra che nella quiete delle lenzuola, eruttino vampate africane, abbiano più d’ogni altro lesta la mano e conficcata in un occhio pesante trave.
Se per noi peccatori impenitenti fosse questa la pietra di paragone, presumibilmente anche il sommo Dante avrebbe rigurgiti assolutori, confinandoci tutt’al più in purgatorio. Forse ci salviamo!
“Beato sarà colui che ha il coraggio di scrivere la verità e ad essa rende testimonianza”.
Si attende il sabato e saturnali calendarizzati, per rivivere acuti leopardiani in chiave moderna ad attenuare parzialmente, ubbie, noia e frustrazione, in una cornice antropologica che consta della presenza discreta, ma non troppo, di cattolici praticanti che sogliono concentrare in chiesa il religioso fervore.
Comunità a sé stante (“noi cristiani” amano definirsi, gli altri non sappiamo cosa siano), che annovera invasati taluni, galantuomini altri, ed anche meno. Così le donne, che spendono l’ardore ecclesiale tra serio e faceto, nella convinzione di aver acquisito l’accesso alla Gerusalemme Celeste. Alcune, sfarzosamente, serbansi al Santo Ufficio in virtù del nobile casato, pertanto, in riproposti e furtivi approcci, conversano autorevolmente col vicino di panca: troppo appetibile è l’altrui vissuto nell’agognato simposio che di gente proba la conta tiene.
Tra i citati e talora pittoreschi frequentatori della sacra navata, vi è chi si lascia travolgere da un insano costume: redigere, in celata sembianza, missive dirette al vescovo della locale diocesi. La sostanza del papiro, spalmata a disdoro del buon pastore che pasce le irrequiete pecorelle del tumultuante gregge, sfocia nella perentoria richiesta di un robusto somarello sul cui dorso posare dello sventurato parroco l’erudito tergo. Cultori veraci del Vangelo, governati da istinti primordiali che ribollono in un catino di perfidia ed ignoranza, perennemente pronti a questuar ragione!
Se il tediato monsignore dovesse rinfrancare tali, bislacche istanze, servirebbe altro reverendo ogni piè sospinto, tenendo conto che ormai, sulla via di Damasco, le saette cadono di rado e sono di ben altro tenore rispetto a quella che si abbatté sul capo di Saulo.
Azione miserrima, tra le tante in repertorio a questi farisei, convinti di non dover sesterzi a Caronte quando giungerà il momento. Orientano disinvoltamente l’indice sui chi è reo di non adattarsi alla misura che abbozza il buon cristiano, e così i curati che non ristorano appieno la di loro fervida e bizzarra religiosità. Eppur si sussurra che nella quiete delle lenzuola, eruttino vampate africane, abbiano più d’ogni altro lesta la mano e conficcata in un occhio pesante trave.
Se per noi peccatori impenitenti fosse questa la pietra di paragone, presumibilmente anche il sommo Dante avrebbe rigurgiti assolutori, confinandoci tutt’al più in purgatorio. Forse ci salviamo!
“Beato sarà colui che ha il coraggio di scrivere la verità e ad essa rende testimonianza”.