08-05-2013, 19:42
Bentornata primavera, letizia m’assale bella a vederti ed ancor più stupore m’avvolge nel contemplare i tuoi vezzi. Da che vagito m’annunciò in codesto mondo non m’abbandona incanto a che, in spirar dell’inverno, pregiato è il manto che stendi a celar le taciute rughe dell’amata terra. Dell’acqua, dei fiori ed animali tutti, a delizia porgi il sortilegio tuo dell’immortale fato.
Ed ancor più stupenda è d’irridente giocondità l’arte che a baluardo ergi dell’umanità il superbo ego. Cagion non t’è di dolenza quanto dell’imperfetto essere fu propria, in pietà di chi mondo fece la vana arte. Ed allora disponi ciò che d’intelletto non s’osi e saggezza dispensi agl’immortali che al cospetto tuo d’umiltà porgersi han fatto rito.
Non v’è sangue né schiavi che monumenti eressero a fatuo incanto in sette di numero innalzati. Il mondo antico di questo godette e grande presunse d’essere nella certezza che mai tempo scalfisse degli uomini l’altera opera. Non v’è scultura o dipinto che di gloria s’adorna a memoria dell’umane gesta né conquista ed impero bramasti a che arte in diletto tuo fosse appagata.
Dell’umana demenza il cuor ti biasima poiché l’arte tua ciò non volle, ma nel Celeste aspergere, in silente estasi, essa da sempre si nutre.
Di suntuosi costumi il Divino fu prodigo e si compiacque a che meraviglia fosse d’addobbo il tuo incedere e disse che le preziose vesti del re Salomone, pur fossero d’oro adornate, dei fiori come maestosi li vesti manco porre raffronto poichè tracotanza è in ciò ardire. Distese e valli ingentilisci con delicati decori che l’umano vestigio porrebbe tormento in cuore all’Altissimo se baldanza d’uomo a tanto giungesse. E così anche il mare t’è grato poiché dell’acqua consenti i giuochi sullo scoglio abbellire.
Schiuma bianca che lieta spumeggia e le rocce ammanta d’irridenti figure, qua e là, come pittore d’arte avvezzo che tela istoria in agili guizzi.
Brezza suadente t’accompagna annunciando il festoso arrivo, cortigiane tue son le rondini e con delicato tepore vezzeggi e riscaldi degli esseri le fragili membra. Preziose essenze spandi nell’aria e la terra vesti di superbo splendore, fiero sia il creato i tuoi doni godere e così ogni anno rinnovi la magnificenza dell’arte benedetta e sublime.
Ricovero donasti alle genti nordiche che sull’agili navi predar vollero in terre ove è grazia il tuo compiacerti. Corpi prestanti di metallo agghindati, fieri elmi la folta chioma coprire e sulle gambe possenti il cuoio a stringer forte lo schiniere gagliardo. Scudi in effigie d’Odino il sovrano e lucenti spadoni con mano brandire a che terrore asperga la terrea ciurma giunta da fiordi lontani.
Ma letizia versasti sugli arcigni guerrieri ed il cuor loro irretisti coi tuoi sortilegi affinché vezzo fosse delle ispide barbe l’umano calore.
Manierato agire ai tuoi piedi depone un cantico che il beato splendore innalza ed ancor oggi, scriba in stupore assorti, contemplano gl’immortali fasti ed in poesia compongono i giocosi versi. Di cantori sei ispirata musa e riversi, nelle note belle, il palpitar giocoso della vita che in rotta pone il plumbeo inverno.
Quanto dolce fu il tempo che di te compagno si fece affinché divenisti custode dei reconditi sogni. Oh se mai volli che autunno giungesse poiché di una volta è l’incedere tuo e prigioniero d’un soffio è il far capolino. Non v’è tempo dopo a godere se quel soffio in saggezza non ebbe a nutrirsi e ciò che mai appieno venne vissuto adesso s’adombra sugl’incompiuti intenti.
Mesto è l’autunno di chi in rimpianto s’affligge. L’alberi sveste in malinconico balletto di lacrime e foglie: dolorosa è la via che al crepuscolo giunge, non v’è primavera in spirar dell’inverno e non cuore sarà lieto nel sortilegio tuo dell’immortale fato.
Bentornata primavera!
Ed ancor più stupenda è d’irridente giocondità l’arte che a baluardo ergi dell’umanità il superbo ego. Cagion non t’è di dolenza quanto dell’imperfetto essere fu propria, in pietà di chi mondo fece la vana arte. Ed allora disponi ciò che d’intelletto non s’osi e saggezza dispensi agl’immortali che al cospetto tuo d’umiltà porgersi han fatto rito.
Non v’è sangue né schiavi che monumenti eressero a fatuo incanto in sette di numero innalzati. Il mondo antico di questo godette e grande presunse d’essere nella certezza che mai tempo scalfisse degli uomini l’altera opera. Non v’è scultura o dipinto che di gloria s’adorna a memoria dell’umane gesta né conquista ed impero bramasti a che arte in diletto tuo fosse appagata.
Dell’umana demenza il cuor ti biasima poiché l’arte tua ciò non volle, ma nel Celeste aspergere, in silente estasi, essa da sempre si nutre.
Di suntuosi costumi il Divino fu prodigo e si compiacque a che meraviglia fosse d’addobbo il tuo incedere e disse che le preziose vesti del re Salomone, pur fossero d’oro adornate, dei fiori come maestosi li vesti manco porre raffronto poichè tracotanza è in ciò ardire. Distese e valli ingentilisci con delicati decori che l’umano vestigio porrebbe tormento in cuore all’Altissimo se baldanza d’uomo a tanto giungesse. E così anche il mare t’è grato poiché dell’acqua consenti i giuochi sullo scoglio abbellire.
Schiuma bianca che lieta spumeggia e le rocce ammanta d’irridenti figure, qua e là, come pittore d’arte avvezzo che tela istoria in agili guizzi.
Brezza suadente t’accompagna annunciando il festoso arrivo, cortigiane tue son le rondini e con delicato tepore vezzeggi e riscaldi degli esseri le fragili membra. Preziose essenze spandi nell’aria e la terra vesti di superbo splendore, fiero sia il creato i tuoi doni godere e così ogni anno rinnovi la magnificenza dell’arte benedetta e sublime.
Ricovero donasti alle genti nordiche che sull’agili navi predar vollero in terre ove è grazia il tuo compiacerti. Corpi prestanti di metallo agghindati, fieri elmi la folta chioma coprire e sulle gambe possenti il cuoio a stringer forte lo schiniere gagliardo. Scudi in effigie d’Odino il sovrano e lucenti spadoni con mano brandire a che terrore asperga la terrea ciurma giunta da fiordi lontani.
Ma letizia versasti sugli arcigni guerrieri ed il cuor loro irretisti coi tuoi sortilegi affinché vezzo fosse delle ispide barbe l’umano calore.
Manierato agire ai tuoi piedi depone un cantico che il beato splendore innalza ed ancor oggi, scriba in stupore assorti, contemplano gl’immortali fasti ed in poesia compongono i giocosi versi. Di cantori sei ispirata musa e riversi, nelle note belle, il palpitar giocoso della vita che in rotta pone il plumbeo inverno.
Quanto dolce fu il tempo che di te compagno si fece affinché divenisti custode dei reconditi sogni. Oh se mai volli che autunno giungesse poiché di una volta è l’incedere tuo e prigioniero d’un soffio è il far capolino. Non v’è tempo dopo a godere se quel soffio in saggezza non ebbe a nutrirsi e ciò che mai appieno venne vissuto adesso s’adombra sugl’incompiuti intenti.
Mesto è l’autunno di chi in rimpianto s’affligge. L’alberi sveste in malinconico balletto di lacrime e foglie: dolorosa è la via che al crepuscolo giunge, non v’è primavera in spirar dell’inverno e non cuore sarà lieto nel sortilegio tuo dell’immortale fato.
Bentornata primavera!
Un caro saluto dalla terra dei nuraghi