03-06-2014, 11:25
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 03-06-2014, 11:30 {2} da Mariano.)
Si narra che nella radura dove occulta è la grotta del folletto Ephiro s’odono voci, forse un sussurro o una nenia, ma nessuno v’indugia poiché timore in cuore gli prende e il piede fan lesto giù nel pendio che al villaggio conduce..!
E’ ignoto ai viandanti che in quella spelonca dove Ephiro ha fatto la tana, il folletto raccoglie dei mortali le suppliche. Quante colpe gli stolti fanno agli Dei e a loro imputano i mali terreni, ma hanno dolenza per i delitti commessi in danno a ciò che loro è concesso. Voce d’uomo talvolta li esorta, altra ammonisce, ma questo poco li scuote corbellando ancora il levar severo: fa legge ciascuno come conviene, a uomini e donne, dell’altro niuno si cura se non in banchetto o altro godere.
Si assembrano in molti quando muovono in gregge, guidati dall’uno talvolta dall’altro e a questi fan corte quanto più è grasso nella greppia il pastone. Di sangue dicono ne esista di blu e casati gloriosi fanno da sempre affinché altri costringano al giogo e molto li tenta ricchezza e potere. Bada non danno all’ira che dall’alto s’annuncia e segni non colgono di chi il cielo governa e quando dai numi giunge il castigo d’indulgenza si fa mendico colui che altero si pasce in stoltezza.
Di questo sa Ephìro e nelle notti d’inverno al villaggio s’accosta col suo tascapane ed un bianco cinghiale che d’appresso lo incalza. Nelle strette viuzze fa larghe le orecchie quando i mortali additano i numi e allora attende che al ciel si libri il lamentar sommesso: non sanno costoro che solo dei supplici d’ogni labe mondi ed in cuor compunti nell’aria indugia il dolente appello. D’altri le geremiadi il vento cattura e così le disperde laddove niuno oda ciò che indarno anela colui che si dorrà nel tempo ancora: uomini e Dei di costoro non udranno preghiera poiché nequizia gli dimora nel cuore e in dote avranno digrignare di denti.
Osserva Ephiro in alto la supplica che diventa una scia luminosa, lenta discende verso il folletto, egli allora apre il gran tascapane e così dentro si posa, del mortale, il guizzo di luce. Tre giri compie il bianco cinghiale attorno al folletto e attende che altra scia dall’aria discenda, tre per ognuna fino a che tutte nel tascapane vengano accolte. Danzano assieme attorniati di luce Ephìro e il cinghiale, con loro una stella che sempre li guida nelle strette viuzze e si posa laddove gli uomini levano al cielo di dolore un lamento.
Questo fa Ephiro nella la notte al villaggio e quando il folletto rientra alla tana, lassù in alto, nella montagna, lungo il cammino s’odono voci, forse un sussurro o una nenia, ed una luce si accosta al sentiero. Vi è sempre una stella che dal villaggio lo guida nella strada tortuosa e poi torna fra tante nel cielo, così ogni volta quando il folletto fa ritorno alla grotta.
Nella sua tana Ephìro porta dei mortali i ricorsi e in un anfratto depone la vivida luce, molto la osserva altrettanto l’ascolta in attesa che un segno giunga dal cielo affinché nel suo tascapane ancora le accolga e così in cammino si ponga verso la terra dove gli Dei fanno convegno. Vi è un tempio con tredici saggi che attendono giunga il folletto affinché dei mortali si conosca l’appello e così tra loro giunga sollievo quando Ephìro torna al villaggio.
E’ ignoto ai viandanti che in quella spelonca dove Ephiro ha fatto la tana, il folletto raccoglie dei mortali le suppliche. Quante colpe gli stolti fanno agli Dei e a loro imputano i mali terreni, ma hanno dolenza per i delitti commessi in danno a ciò che loro è concesso. Voce d’uomo talvolta li esorta, altra ammonisce, ma questo poco li scuote corbellando ancora il levar severo: fa legge ciascuno come conviene, a uomini e donne, dell’altro niuno si cura se non in banchetto o altro godere.
Si assembrano in molti quando muovono in gregge, guidati dall’uno talvolta dall’altro e a questi fan corte quanto più è grasso nella greppia il pastone. Di sangue dicono ne esista di blu e casati gloriosi fanno da sempre affinché altri costringano al giogo e molto li tenta ricchezza e potere. Bada non danno all’ira che dall’alto s’annuncia e segni non colgono di chi il cielo governa e quando dai numi giunge il castigo d’indulgenza si fa mendico colui che altero si pasce in stoltezza.
Di questo sa Ephìro e nelle notti d’inverno al villaggio s’accosta col suo tascapane ed un bianco cinghiale che d’appresso lo incalza. Nelle strette viuzze fa larghe le orecchie quando i mortali additano i numi e allora attende che al ciel si libri il lamentar sommesso: non sanno costoro che solo dei supplici d’ogni labe mondi ed in cuor compunti nell’aria indugia il dolente appello. D’altri le geremiadi il vento cattura e così le disperde laddove niuno oda ciò che indarno anela colui che si dorrà nel tempo ancora: uomini e Dei di costoro non udranno preghiera poiché nequizia gli dimora nel cuore e in dote avranno digrignare di denti.
![[Immagine: Ortakis_3.jpg]](http://www.sicurpas.it/images/foto/Ortakis_3.jpg)
Osserva Ephiro in alto la supplica che diventa una scia luminosa, lenta discende verso il folletto, egli allora apre il gran tascapane e così dentro si posa, del mortale, il guizzo di luce. Tre giri compie il bianco cinghiale attorno al folletto e attende che altra scia dall’aria discenda, tre per ognuna fino a che tutte nel tascapane vengano accolte. Danzano assieme attorniati di luce Ephìro e il cinghiale, con loro una stella che sempre li guida nelle strette viuzze e si posa laddove gli uomini levano al cielo di dolore un lamento.
Questo fa Ephiro nella la notte al villaggio e quando il folletto rientra alla tana, lassù in alto, nella montagna, lungo il cammino s’odono voci, forse un sussurro o una nenia, ed una luce si accosta al sentiero. Vi è sempre una stella che dal villaggio lo guida nella strada tortuosa e poi torna fra tante nel cielo, così ogni volta quando il folletto fa ritorno alla grotta.
Nella sua tana Ephìro porta dei mortali i ricorsi e in un anfratto depone la vivida luce, molto la osserva altrettanto l’ascolta in attesa che un segno giunga dal cielo affinché nel suo tascapane ancora le accolga e così in cammino si ponga verso la terra dove gli Dei fanno convegno. Vi è un tempio con tredici saggi che attendono giunga il folletto affinché dei mortali si conosca l’appello e così tra loro giunga sollievo quando Ephìro torna al villaggio.