09-03-2013, 12:29
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 11-03-2013, 10:19 {2} da Mariano.)
C’è una montagna che sovrasta il paesello dove ogni tanto m’inoltro a far lunghe passeggiate nel bosco ed allora succede che, sovente, incontro strane creature, talvolta in sembianza di uomo!
Ancor notte per strada ti coglie di questo sentiero il lieto seguire, su per la valle, lassù nel fitto bosco, dove sguardo smarrisce e scalpitar d’animali in lontananza s’ode. Piè caldi in lana fasciati, di cuoio avvolti, bordone che ambular ti sorregge, lungo il pendio, l’incedere lieto che in cima ti porta.
Il sacco in spalla t’agghindi di pane un tozzo portare e vino a giubilar dell’alma nei freddi momenti del dolce sostare. Aurora rosata adagiato ti trova su pietra dal vento battuta, scranno di Re che natura ti fece poiché monarca di terra e d’armenti in tua sorte venne deciso. Eppur di recinto la terra non cingi e l’animali lasci a che brezza li guidi dove erba è più grassa e d’acqua lieto il gran borbottio.
Guizzi di luce sul volto danzare, qua è là, delicati, lungi lo sguardo rivolgi ed orecchio presti in attesa che sull’ali dei venti, di genti lontane, venga parola. Forse dal mare ed ancora più in là, quella scia luminosa che in cielo si perde, nunzia di cose, segreto di pochi!
Di contento muoio starti al cospetto, da tempo speme in sì fatto languiva a che propizio mi fosse del tempo l’incontro, sagge parole, dono regale, udir questa voce gaiezza nel cuore, meco giunge forte il richiamo. Non di scorza terrena ma d’aura divina tu parmi sembiante ed ancora attendo l’arcano svelare poichè in affanno giunsi quassù. Pena ti diede il lamento di chi strazio nel cuore si porta, figlio di terra che nel mondo è smarrito ed ancor ricerca i fratelli perduti.
Da solo si pasce finché notte lo coglie ed allora in giaciglio mesto riposa, osservando le stelle e i disegni del cielo affinché luce intraveda e del cammino sia breve il seguire. Di gente molta ascolta parola e di tanti ha visto stoltezza poiché di ricchezza han fatto ragione: potere che alma percuote e freddo il cuore consegna a chi è schiavo del cupido ingegno. I fratelli han tradito affinché dei potenti fosse il godere e d’orgoglio han fatto baratto, dignità dolente che nella polvere trova giaciglio ed alla greppia mesto l’accosto. Favella dunque, poiché in attesa mi struggo ed ancor l’indugio funesto m’appare.
“Esseri umani, schiatta sciocca, al mio cospetto niuno ha potuto sostare poiché del nulla siete progenie. In questo bosco, non veduto, ho visto dell’uomo il malcauto agire. A morte mandaste i fanciulli che al primo vagito di voi son compagni, petto insano che tempio divenne del male il primordio. A voi giunge rovina dal Cielo ed ancor non sapete quanto d’amaro gusta quel calice che sorte vi porge.
Ma poco di questo tu sai e vedermi concesso t’è stato, ancor più parole ascoltare poiché cuor t’ingombra dell’uomo nequizia. Non di questo sentiero è lieta sorte godere ma altrove un giorno appagato verrai ed allora nel desco commensali saremo. Accudisci dunque il fanciullo che ti venne affidato poiché del tempo alla fine, solamente un vagito diviene parola e così potrai la gran porta passare.
Dei tuoi fratelli abbi pena ed indica loro i segni del Cielo affinché degli equi sia il traversare. Giusto premio fato t’accosta, per fuggire intenti vestigio hai stampato in questo bosco d’incanto ed allora hai visto ed ascolti saggezza. Bontà non lasci che in ambasce perisca e forte odi questo richiamo, alfine dunque giunto è il mio tempo. Quel Nume lassù, ove forte mormora il tuono, del suo araldo attende il ritorno, poiché dell’umano occhio s’è fatto figura ed allora nel tempio deve tornare, di questo ti lascio custode poiché dono una volta è concesso ed alle genti dirai che lassù, un giorno, della montagna vedesti l’uomo.
Bada, solo una volta questo t’è dato, fiammella sacra che in cuore ti porti e sempre in petto deve brillare poiché un altro araldo figlio del Nume devi incontrare. In quella luce del fratello il segno traspare ed allora il dono dovrai consegnare poiché del tuo tempo giunta è la fine e quindi nel Nume potrai giubilare.
Del fanciullo conto darai poiché della porta solo egli è custode ed araldo dovrà diventare, forse in quel bosco, un giorno, non visto, dell’uomo vedrà il malcauto agire, per millenni in attesa dell’umano occhio farsi figura!”
Ancor notte per strada ti coglie di questo sentiero il lieto seguire, su per la valle, lassù nel fitto bosco, dove sguardo smarrisce e scalpitar d’animali in lontananza s’ode. Piè caldi in lana fasciati, di cuoio avvolti, bordone che ambular ti sorregge, lungo il pendio, l’incedere lieto che in cima ti porta.
Il sacco in spalla t’agghindi di pane un tozzo portare e vino a giubilar dell’alma nei freddi momenti del dolce sostare. Aurora rosata adagiato ti trova su pietra dal vento battuta, scranno di Re che natura ti fece poiché monarca di terra e d’armenti in tua sorte venne deciso. Eppur di recinto la terra non cingi e l’animali lasci a che brezza li guidi dove erba è più grassa e d’acqua lieto il gran borbottio.
Guizzi di luce sul volto danzare, qua è là, delicati, lungi lo sguardo rivolgi ed orecchio presti in attesa che sull’ali dei venti, di genti lontane, venga parola. Forse dal mare ed ancora più in là, quella scia luminosa che in cielo si perde, nunzia di cose, segreto di pochi!
Di contento muoio starti al cospetto, da tempo speme in sì fatto languiva a che propizio mi fosse del tempo l’incontro, sagge parole, dono regale, udir questa voce gaiezza nel cuore, meco giunge forte il richiamo. Non di scorza terrena ma d’aura divina tu parmi sembiante ed ancora attendo l’arcano svelare poichè in affanno giunsi quassù. Pena ti diede il lamento di chi strazio nel cuore si porta, figlio di terra che nel mondo è smarrito ed ancor ricerca i fratelli perduti.
Da solo si pasce finché notte lo coglie ed allora in giaciglio mesto riposa, osservando le stelle e i disegni del cielo affinché luce intraveda e del cammino sia breve il seguire. Di gente molta ascolta parola e di tanti ha visto stoltezza poiché di ricchezza han fatto ragione: potere che alma percuote e freddo il cuore consegna a chi è schiavo del cupido ingegno. I fratelli han tradito affinché dei potenti fosse il godere e d’orgoglio han fatto baratto, dignità dolente che nella polvere trova giaciglio ed alla greppia mesto l’accosto. Favella dunque, poiché in attesa mi struggo ed ancor l’indugio funesto m’appare.
“Esseri umani, schiatta sciocca, al mio cospetto niuno ha potuto sostare poiché del nulla siete progenie. In questo bosco, non veduto, ho visto dell’uomo il malcauto agire. A morte mandaste i fanciulli che al primo vagito di voi son compagni, petto insano che tempio divenne del male il primordio. A voi giunge rovina dal Cielo ed ancor non sapete quanto d’amaro gusta quel calice che sorte vi porge.
Ma poco di questo tu sai e vedermi concesso t’è stato, ancor più parole ascoltare poiché cuor t’ingombra dell’uomo nequizia. Non di questo sentiero è lieta sorte godere ma altrove un giorno appagato verrai ed allora nel desco commensali saremo. Accudisci dunque il fanciullo che ti venne affidato poiché del tempo alla fine, solamente un vagito diviene parola e così potrai la gran porta passare.
Dei tuoi fratelli abbi pena ed indica loro i segni del Cielo affinché degli equi sia il traversare. Giusto premio fato t’accosta, per fuggire intenti vestigio hai stampato in questo bosco d’incanto ed allora hai visto ed ascolti saggezza. Bontà non lasci che in ambasce perisca e forte odi questo richiamo, alfine dunque giunto è il mio tempo. Quel Nume lassù, ove forte mormora il tuono, del suo araldo attende il ritorno, poiché dell’umano occhio s’è fatto figura ed allora nel tempio deve tornare, di questo ti lascio custode poiché dono una volta è concesso ed alle genti dirai che lassù, un giorno, della montagna vedesti l’uomo.
Bada, solo una volta questo t’è dato, fiammella sacra che in cuore ti porti e sempre in petto deve brillare poiché un altro araldo figlio del Nume devi incontrare. In quella luce del fratello il segno traspare ed allora il dono dovrai consegnare poiché del tuo tempo giunta è la fine e quindi nel Nume potrai giubilare.
Del fanciullo conto darai poiché della porta solo egli è custode ed araldo dovrà diventare, forse in quel bosco, un giorno, non visto, dell’uomo vedrà il malcauto agire, per millenni in attesa dell’umano occhio farsi figura!”
Un caro saluto dalla terra dei nuraghi!