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Il viaggio di Ephìro
#1
Ephìro da tempo nella sua tana dei mortali ascolta la supplica, adesso l’anfratto trabocca di luci e di preghi, quanti per notte al villaggio discende. Si accosta ed ascolta il folletto minuto, da quando a levante sorge una stella che annuncia dell’aurora l’arrivo, fino a che il sole nelle cime dei monti trova giaciglio ed ai mortali riversa sonno quieto.

Gran pena in petto gli mette chi molto grazia sospira seppure di questi conosce stoltezza e agli occhi dei numi paiono indegni, talvolta tra loro vi sono dei giusti e a questi la sorte ha dato l’ammenda poiché tra gli uomini cieca si muove. Per questo nel bosco Ephìro ha fatto la tana e nella notte al villaggio discende col suo tascapane che molto riempie con la luce dei supplici, come se degli uomini, uguale, il bisogno gli urgesse.

Notte di grandi prodigi, un segno giunge dall’alto, il vento lo spinge, da Oriente, laddove gli uomini avvolgono il capo in strisce di seta e corrono in fila seni di sabbia su grandi animali che di gobbe ne portano due. Fanno dimora solo una volta, non hanno casa, letti, coperte o mantelli splendenti, dormono tutti attorniati nel fuoco guardando le stelle che bardano il cielo.

Da duemila anni, una volta per anno, quando la notte d’ogni cosa è padrona, squarcia il silenzio un tuono possente, saetta di luce solca nel cielo e nella grotta di Ephìro si schianta all’ingresso facendo il giorno nella grande radura. Tempo del mandorlo, veste suntuosa, bianca di fiori, odorosi di miele selvatico, bella a vedersi come tela pregiata che mani sapienti han ben lavorato. Vi è gente che al desco s’attornia e allegra banchetta ammaestrando la prole, azimo è il pane, così come a loro piace da tempo, ricordando ancora, dell’antico popolo, il traversar penoso.

Una volta e per una mossero dalla terra dove i sovrani, quando la morte li chiama alla conta, in fasce di lino vengono avvolti, composti in arche fuse nell’oro, ai lati ben cesellate con strane figure testa di lupo. Le nascondono in case di pietra che guardano al cielo e con esso dividono dei carri celesti il lungo tracciato, tre le più grandi, in una piana adagiate, tra dune di sabbia, roventi di giorno e fredde la notte. Un guardiano le veglia, nella roccia scolpito, possente leone testa d’uomo che s’accovaccia intento affinché nessuno disturbi dei morti il riposo. Anche il tempo in quel luogo par non trascorra, s’infrange impotente sui grandi sepolcri dimora di antichi sovrani, di questi si dice abbia paura, così narrano in tanti nelle sponde del Nilo.

Accadde in quei giorni che al più grande fra tutti i profeti, della croce gli fecero onta, inchiodato con due masnadieri, uno alla destra, l’altro a sinistra, in una collina che guarda un villaggio caro agli Dei. Lo misero a morte i guerrieri venuti da un luogo dove agl’infanti i lupi danno poppata, chi li reggeva gli diede condanna gettando acqua nelle sue mani, ma di altri era l’inganno che a morte condusse il Figlio dell’uomo. Sacerdoti di un tempio che imponevano ad altri leggi vergate su tavole in pietra, tra loro il più anziano lo trasse nel laccio istigando tra quelli che gli erano accanto. Ad uno fra tutti piacque moneta e per trenta di queste baciò sulla fronte il favorito del Dio facendolo preda di uomini in arme.

Del Nazareno la morte scosse il creato ed in cielo apparvero i segni del Padre suo che strazio molto aveva nel cuore. La folgore cadde sui mortali atterriti e così accade ogni volta per anno, quando il mandorlo fa bianca la veste. Il segno ad Ephìro che egli attendeva, può adesso mettersi in viaggio il figlio di un nume, verso la terra della Signora del fuoco, laddove vi è il tempio dei tredici saggi.

Nel tascapane il folletto rimette dei mortali i ricorsi e col suo cinghialetto si mette in cammino. Una stella li guida lungo la strada, tortuosa e lunga, nelle terra dove gli Dei fanno convegno con ninfe dai lunghi capelli ed occhi che hanno il colore del mare, terra incantata che sempre pioggia la bagna e quando molto neve la sferza gli alberi rimangono verdi, nutrice di bovi e capre selvatiche che corrono sole le cime dei monti dove l’erba è più grassa e l’acqua guazza abbondante.

[Immagine: Ortakis_4.JPG]
Nella terra della Signora del fuoco!
#2
Ciao Mariano,
le tue belle storie mi riconciliano con il mondo. Quando leggo questo meraviglioso viaggio mi sembra di vivere realmente i luoghi e i personaggi descritti e mi danno un grande senso di pace. Molto belle e scritte in una forma originalissima che sembra un italiano antico con le pause seminate in modo magistrale. Lavoro superlativo, complimenti.
Alla prossima
#3
Ben ritrovati, concordo pienamente con Pasquale e aggiungo che le atmosfere di questi racconti fanno sognare. AngelAngelAngel
A presto Smile
#4
Saludu, belli e ispirati dalla nostra montagna che è favolosa
Adiosu Wink


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